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Nella primavera del 480 a. C., l’esercito persiano, che raccoglieva le forze dell’impero dall’India al Mediterraneo (rassegna a Dorisco in Hdt., VII 60-100), mosse da Sardi di Lidia, puntando verso l’Ellesponto, per passare in Europa e marciare verso la Grecia, mentre l’enorme flotta si muoveva sotto costa di conserva, anch’essa con le prue orientate a nord. Serse, dato il significato del nome in pers. ant. Xšayar̥ša, "che regna su eroi", non a torto detto il Gran Re, era sicuro che i Greci non avrebbero potuto resistere, anche se fossero stati uniti e compatti, e, di conseguenza, pensava che meno che mai lo avrebbero potuto fare nelle condizioni in cui si trovavano, indeboliti come erano dalle molte defezioni non solo in Tracia ma anche all’interno della Grecia stessa, dove non poche poleis e dinasti, da Erodoto puntigliosamente elencati, o si mantenevano prudentemente (e pericolosamente per loro) neutrali o, addirittura, apertamente medizzavano, cioè parteggiavano per i Persiani e che ancora quattro secoli e mezzo dopo riceveranno gli strali del patriottico Diodoro (XI 3, 1-3). L’atteggiamento dei Corciresi e le loro risibili giustificazioni a cose fatte valgano per tutti. Le divisioni - pensava Serse - indebolivano di molto il potenziale difensivo ellenico. Per questo portava avanti anche un’offensiva diplomatica convincente e minacciosa per indebolire ancor di più quei Greci che si erano riuniti in una Lega antipersiana, guidata essenzialmente dagli Spartani e dagli Ateniesi, i più convinti e determinati difensori della libertà greca contro le mire imperialistiche dell’impero achemenide. Mardonio figlio di Gobria, cugino di Serse, in quanto figlio di una sorella di Dario, e cognato, in quanto era anche marito di una figlia di Dario (cfr. anche DS XI 1,3), che aveva spinto per la guerra (Hdt., VII 5, 2-3), era felice che il Re avesse seguito il suo consiglio (Hdt., VII 6, 1). Egli - secondo Erodoto - era, a dispetto del nome Mrduniya da iran. mrdu- "dolce", l’anima nera della corte persiana e da uomo pieno di hybris alla fine avrebbe pagato con la vita il fio del suo empio disegno a Platea, nei riarsi campi della Beozia nell’estate del 479 a. C. (Hdt., IX 63,1-2; 64, 1). La situazione dei Greci si faceva veramente drammatica. L’attività diplomatica si sviluppò intensa fra le varie poleis finché un buon numero di delegati, in rappresentanza dei «Greci che avevano l’orientamento migliore verso la Grecia» si riunirono all’Istmo di Corinto, presso il santuario di Poseidon e per prima cosa riuscirono a «porre fine alle inimicizie e alle guerre in atto fra di loro» (Hdt., VII 145, 1). Fra i provvedimenti d’emergenza presi in quella occasione, alla notizia che il Re era a Sardi, «decisero … di mandare altri ambasciatori in Sicilia presso Gelone figlio di Dinomene, a Corcira per esortarli ad aiutare la Grecia, ed altri a Creta, con l’intento di capire se tutta la grecità potesse riunirsi in un sol blocco, e tutti d’accordo agissero con unità di intenti, dal momento che pericoli gravi incombevano su tutti i Greci egualmente (homoíōs pȃsi Héllēsi). Si diceva anche che la potenza di Gelone fosse grande, non essendoci uno stato greco di cui non fosse di gran lunga maggiore» (Hdt. VII 145, 2; tr. G. Nenci, in Erodoto, Le Storie. Libro VII. Serse e Leonida, a cura di P. Vannicelli e Aldo Corcella, Milano 2017). Sulla base di questa deliberazione, una delegazione, guidata da ateniesi e spartani, con a capo il lacedemone Siagro, raggiunse Siracusa per incontrare Gelone (Hdt., VII 157,1). Lo storico di quell’incontro è Erodoto di Alicarnasso, che certamente non vi partecipò, avendo all’epoca circa cinque anni. Non abbiamo, quindi, di quell’in- contro, storicamente certo, nessun riassunto stenografico e nessuna notizia diretta. Ed è probabile, quindi, che i discorsi attribuiti dallo storico ai vari protagonisti non siano rispondenti a quelli realmente tenuti e siano, quindi, fittizi, ma la ricostruzione erodotea riassume ed elabora elementi ideologici e valutazioni politiche, che furono alla base delle posizioni assunte dalle varie potenze elleniche, in un sottile e rischioso gioco di scacchi in cui alcuni dei contendenti guardarono più agli interessi interni ed immediati - e non è detto che il vantaggio immediato fosse la via migliore in prospettiva -, vista la volontà di espansione ecumenica dei Persiani. Riassumono anche, le grandi pagine erodotee, le posizioni e la propaganda postbellica con la quale le potenze neutrali o medizzanti cercarono di giustificare le loro scelte; e per quanto ci riguarda questa propaganda fu influenzata dai Greci della Lega antipersiana i veri vincitori materiali e morali, ma anche dalla narrazione degli eventi abilmente diffusa e orchestrata dai Dinomenidi, che avevano qualche carta a loro giustificazione, anche se forse postuma, cioè dopo Imera, senza che si possa dire che l’incontro sia avvenuto dopo la battaglia. Il testo erodoteo rappresenta, quindi, la vulgata diffusa nel mondo ellenico al tempo in cui Erodoto effettuò le sue ricerche e consultò in qualche modo le fonti. E nel complesso stabilisce una verità storiografica accettabile. Del resto, poiché l’accenno di Diodoro all’ambasceria in X 33, ripreso in XI 1, si riduce alla pura e semplice notizia dell’ambasceria, con qualche imprecisione di non poco conto, come la notizia che l’ambasceria riguardò tutti i Greci (tõn Hellēnon panton dia- presbeusaménon), cosa non vera, dobbiamo su Erodoto di necessità fondare la nostra ricostruzione. Comunque, nella primavera del 480 a.C. la situazione era veramente difficile sia per il rischio mortale oggettivo che la Grecia correva sia per l’ambiguità delle posizioni di molti Greci. I delegati giunti a Siracusa sapevano che molte altre poleis, anche fra quelle al momento neutrali, avrebbero potuto passare con i Persiani, oltre a quelle che, necessitate o meno, avevano, come si diceva, già offerto acqua e terra. Gelone sarebbe stato un alleato importante, ma la trattativa si annunziava difficile, perché c’era anche in gioco, anzi rivestiva non secondaria importanza la questione dell’heghemonía, della leaderschip, come si dice ormai, in seno alla coalizione, un diritto che si basa sulle benemerenze acquisite, sulla potenza dispiegabile, sul credito presso le altre poleis, ma che è anche un elemento da spendere nel dopo, in caso di vittoria soprattutto, per legittimare questa o quella richiesta questo o quel riconoscimento, questo o quel diritto. I delegati, probabilmente, già sapevano, conoscendo il tiranno, che il loro rapporto con Gelone sarebbe stato condizionato da questo elemento geopolitico, che complicava molto la possibilità di trovare un punto d’incontro, anche perché né gli Spartani né gli Ateniesi erano disposti a cedere su questo punto. Insomma, la Grecia non solo non era unita, ma anche gli stati che erano entrati nella Lega o che non escludevano di entrarci, non rinunciavano affatto ai loro obiettivi, alle loro rivendicazioni, col rischio di minare la coesione dell’alleanza. Ma andiamo con ordine. Avendo i delegati incontrato Gelone, prende la parola il capodelegazione, lo spartano Siagro, e questo è indizio che le poleis alleate, compresa Atene, riconoscono a Sparta il diritto di guidare la Lega. Il plenipotenziario spartano parla, quindi, se pure con la supponenza dello spartiata, a nome della Lega, ma subito all’esordio distingue gli ateniesi dagli altri alleati, facendo in pratica una graduatoria: «I Lacedemoni, gli Ateniesi e i loro alleati ci hanno mandato …» (Hdt. VII 157 1), con il che le gerarchie sono fissate una volta per tutte. La richiesta al tiranno di Siracusa, in sé semplice e chiara, è di unirsi ai Greci contro il barbaro, cioè i Persiani, in quanto non parlanti greco. La richiesta è fondata su motivazioni già allora incontrovertibili, che gli studiosi moderni hanno ulteriormente confermato, anche attraverso una più profonda analisi e conoscenza storico-politica delle strutture e delle dinamiche della Persia antica. I greci hanno di fronte un impero immenso, multietnico, teocratico, che in politica estera è proiettato in un espansionismo imperialistico con venature universalistiche, come da Erodoto (VII 8 a1) è magistralmente lumeggiato nel cosiddetto "discorso della corona" di Serse, all’indomani della fine della rivolta dell’Egitto (9 gennaio 484), che sottolinea la necessità dell’impero di perseguire questa politica, che trova fondamento nel nomos e nella physis, coincidenti perché ambedue promananti da Ahura Mazda, il dio della teocrazia achemenide, creatore delle cose visibili e invisibili. La volontà del dio è la volontà del sovrano, che è mezzo ed esecutore, come chiaramente mostrano i rilievi e le iscrizioni di Dario a Behistun, (Bagastana, "luogo degli dei"). Serse non può che continuare la politica di Dario, come ripete secoli dopo Diodoro (XI 2,2), l’espansionismo non può arrestarsi, non può lasciare vuoti che possono essere occupati da altri. La strategia dell’impero persiano è evidente, perché se il pretesto (próschema) è di muovere contro Atene per vendicare l’attacco a Sardi e l’affronto di Maratona, in realtà il disegno è di «sottomettere tutta la Grecia» (Hdt. VII 157 1). Siagro è molto abile e astuto nel concedere quello che era nei fatti e cioè che Gelone è un tiranno potente e che regna (árchonti) sulla Sicilia e che di conseguenza, data la dimensione dell’isola, «gli appartiene una non piccola parte della Grecia» (157 2): egli fa, dunque, parte del koinón ellenico, entra nell’alleanza come rappresentante dell’Oc- cidente, alla pari con le potenze della madrepatria e deve venire in aiuto di chi vuole la Grecia libera e cooperare alla lotta per la libertà. Il sottotesto del discorso è che Gelone è greco e non può non stargli a cuore la libertà, che è il carattere connotativo delle poleis greche, rispetto al dispotismo verticistico dell’impero achemenide. Siagro tocca poi altri due punti importanti: quello della necessità dell’unità e quello dell’utilità per ciascuno dei partecipanti alla coalizione. La Grecia unita è in grado di affrontare l’invasione, ma - prosegue - «se fra noi c’è chi tradisce, chi non vuole venire in aiuto, se la parte sana della Grecia è piccola, allora sì, c’è da temere che abbia a soccombere la Grecia intera» (157 2). E, se i Persiani vinceranno, è sicuro che non si fermeranno ma proseguiranno nella loro politica di conquista e allora toccherà a Gelone e alla Sicilia. È, quindi, nell’interesse di Gelone, di Siracusa e della Sicilia partecipare alla Lega, perché venendo in aiuto dei Greci in realtà difende sé stesso. È un atto di saggezza politica di incalcolabile importanza (157 3). Il discorso di Siagro è retoricamente molto organizzato e bilanciato. Al centro viene posto il problema ineludibile, l’elemento ideologico unificante della eleuthería, che è anche quello della sotería, della salvezza, delle poleis greche, del pericolo mortale che esse corrono: da esso discende la necessità dell’alleanza come scelta unica e obbligata. Non tocca, lo spartano, neppure alla fine, il problema, anch’esso importan- te, dell’heghemonía, della guida della coalizione, rimosso, come detto, quasi insensibilmente dall’incipit: «I Lacedemoni, gli Ateniesi e i loro alleati …», che cristallizza le gerarchie e crea l’inconciliabilità di fondo delle posizioni. (Fine prima parte)
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Il discorso di Siagro appare a Gelone una manifestazione di arroganza, lógon.… pleonékten (158 1), un diktat inaccettabile, una richiesta politicamente asimmetrica e non meditata, che non tiene conto dei reali rapporti di forza; una richiesta che distorce la realtà dei fatti o, per meglio dire, ne occulta una parte, e, dunque, volutamente ignora lo stato dei rapporti interstatali tra Grecia continentale, gli Spartani soprattutto, e la Sicilia, di cui egli si sente il signore e vorrebbe come tale essere riconosciuto. Risponde, quindi, rivolgendosi non a Siagro ma a tutti i delegati greci (ándres Héllenes), con veemenza, non disgiunta, però, da solida argomentazione retorica e ideologica, i cui termini, comunque, vanno letti in senso limitativo, come replica agli argomenti addotti da Siagro a nome degli altri ambasciatori greci. Essi, cioè, non possono essere utilizzati, magari con qualche forzatura, per fondarvi una troppo precisa ricostruzione storica. Egli fa notare come sia ben strana la maniera con la quale essi stanno chiedendogli la symmachía (alleanza), perché la solidarietà panellenica ora richiesta non è stata dimostrata dai Greci quando era lui a chiederla. Gelone elenca puntualmente i momenti in cui le sue legittime richieste sono state disattese e ignorate:
a) quando chiese aiuto per combattere contro i Cartaginesi; b) quando cercò di formare una symmachía per vendicare Dorieo, figlio di Anassandrida, sconfitto ed ucciso da una coalizione elimo-segestana in funzione antigreca alla fine del VI secolo. c) quando chiese di formare una coalizione e cooperare a garantire la libertà dei porti (empória) «dai quali sono derivati a voi grandi vantaggi e profitti» (158 2). Il problema degli scali commerciali era di vitale importanza per l’espansione e la sicurezza dei commerci greci, ma la Grecia colpevolmente se ne disinteressò, anzi, se fosse stato per i Greci, tutto l’Occidente sarebbe caduto in mano cartaginese.
Mentre il richiamo all’impresa di Dorieo, ultimo tentativo di colonizzazione greca in Occidente, con il suo valore di rivendicazione ideologica superata ormai dai tempi, aveva riguardato soprattutto gli Spartani e l’affondo era diretto a Siagro, il problema degli empori era di vitale attualità sotto il profilo principalmente commerciale, ma con risvolti politico-militari, perché connesso al dominio o almeno al controllo delle zone nevralgiche in cui gli empori insistevano, al fine di salvaguardare le rotte commerciali. Per questo Gelone lo enfatizza, attribuendosi il merito di averli mantenuti in mano greca, con vantaggi evidenti anche per le poleis della madrepatria, Ateniesi e Corinzi inclusi. La rivendicazione di questo titolo di merito è fondamentale per Gelone, perché gli permette di poter affermare quello che ritiene un merito acquisito nella lotta contro il barbaro a difesa dell’eleuthería ellenica e, quindi, un "diritto" inalienabile, funzionale alle condizioni che porrà ai plenipotenziari della Lega. Opposti questi fatti secondo lui inoppugnabili, Gelone continua facendo con ironia notare come nella situazione presente, ora che la guerra è arrivata in Grecia, solo ora «Gélonos mnestis ghégone», si sono ricordati di Gelone, come a dire che il puro interesse e l’egoismo e non la solidarietà panellenica o il senso della sygghéneia (consanguineità) guidano le scelte delle poleis greche continentali. Tuttavia egli sarà superiore e non terrà conto del trattamento subito. Si dichiara, quindi, pronto a partecipare alla Lega antipersiana, poi avanza, a testimonianza della potenza raggiunta. la sua proposta a prima vista molto generosa. Promette, infatti, 20.000 opliti, 2.000 cavalieri, 2.000 arcieri, 2.000 frombolieri, 2.000 cavalleggeri e, infine, 200 triremi. Promette, inoltre, di risolvere il problema logistico di tutto l’esercito greco in campagna, garantendo l’approvvigionamento con una fornitura di grano capace di soddisfare tutte le esigenze operative di un esercito imponente (158 4). La proposta offre un contributo determinante, che alla Lega farebbe molto comodo, dall’altra parte, però, tende ad accreditare il "tiranno" di Siracusa come il più potente dei componenti della Lega stessa e questo è l’obiettivo che Gelone intende raggiungere. Non sappiamo se effettivamente Gelone sarebbe stato in grado di mantenere queste promesse; i Greci della madrepatria, però, gli riconoscevano una potenza non comune e Erodoto stesso inclina ad accettare e accreditare questa valutazione. Altre fonti (Polibio, sulla base di Timeo, Eforo) danno numeri più bassi. I moderni sono cauti e divisi, perché alcuni credono che le cifre erodotee veramente notevoli risalgano a una tradizione siceliota filo-dinomenide databile agli anni successivi alla battaglia di Imera (Cataldi), altri sostengono la corretta storicità delle cifre (Wallinga). Probabilmente le cifre sono un po’ "gonfiate", ma c’è da dire che anche ridotte del 40 o del 50% avrebbero rappresentato un sostegno notevolissimo alla causa della libertà greca. Avendo creato legittime e ottimistiche aspettative nei delegati, Gelone piazza il colpo a cui aveva a lungo certamente pensato. La condizione perché tutto vada a buon fine è che «sia io il comandante e il capo dei Greci contro il barbaro; ad altre condizioni, né io verrei, né manderei gli altri» (158 5). La condizione presentata in maniera secca e perentoria e forse volutamente troppo pretenziosa per essere accettata, se non addirittura offensiva per i delegati spartano e ateniese, in quanto, al di là dei diritti "mitici", come vedremo, lesiva dell’onore militare spartiata e delle benemerenze ateniesi dopo Maratona, non deve meravigliarci. Più o meno alla stessa maniera risposero gli argivi agli ambasciatori andati ad Argo per sollecitarli a entrare nella coalizione antipersiana. Risposero, infatti, che essi erano pronti: «ma solo dopo aver concluso una pace trentennale con i Lacedemoni e se avessero ottenuto il comando di metà di tutte le forze alleate (tȇs symmachíes); in verità, secondo giustizia, il comando supremo sarebbe toccato a loro, tuttavia si sarebbero accontentati di esercitarlo per metà» (148 4; cfr. DS XI 3,4, che riprende puntualmente Erodoto). E certo gli argivi non avevano la potenza di Gelone. Si tratta di un affronto che il delegato spartano non può accettare e, precedendo gli altri colleghi, risponde irato, rintuzzando con durezza e asprezza le pretese di Gelone. Se Gelone aveva messo in campo le sue benemerenze nella lotta contro i Cartaginesi per il mantenimento degli empori, Siagro rivendica addirittura diritti che risalgono all’epoca micenea e alla guerra di Troia, la grande guerra contro l’Oriente, paradigma assoluto della storia e dell’identità ellenica. A Troia era stato Agamenno- ne, la cui reggia secondo la tradizione spartana era in Laconia, a guidare la symmachía ellenica. Come può pensare Gelone, di fronte a questo diritto "santificato" dalla storia, dal mito e dai poeti, di avanzare una pretesa che suona quasi blasfema? Il tono di Siagro, quasi uno sbotto d’ira, un aut-aut definitivo, non lascia spazio a compromessi e aggiustamenti di nessun genere: «Scordati questa condizione, che noi ti cederemo il comando (heghemoníen); ma se vuoi venire in aiuto della Grecia, sappi che sarai comandato dai Lacedemoni; se non ritieni giusto essere comandato, non venire neppure in soccorso a noi» (159). La risposta di Gelone, che si è accorto di aver toccato in maniera troppo ruvida una corda che non avrebbe dovuto, è cauta e cerimoniosa nella forma, ma sempre ultimativa nella sostanza. Dopo aver fatto notare, infatti, la scortesia di Siagro, ribadisce la sua superiorità, perché alle parole offensive non risponderà in maniera sconveniente, ma con ragionevoli argomentazioni e, aggiungiamo noi, con qualche astuzia psicologica. Riconosce, infatti, a Siagro e agli Spartani la legittima aspettativa del comando supremo, ma subito dopo ribadisce che non è strano che anch’egli ci tenga «dato che sono comandante di un esercito molto più grande e di navi molto più numerose» (160, 2). Poi, mostrando di rinunciare generosamente a una parte del suo diritto per non offendere gli Spartani, ai quali la richiesta risulta troppo gravosa, avanza la seconda ridimensionata (alla maniera degli Argivi sopra menzionati) proposta, seguita dal solito secco aut-aut: «Se voi comanderete l’esercito di terra, io comanderò la flotta; se poi avrete piacere di essere comandanti sul mare, io voglio esserlo della fanteria. Ed è necessario o che vi accontentiate di queste condizioni, o ve ne andiate privi di alleati così forti» (160, 2). Immaginiamo a questo punto un momento di silenzio e come di sospensione, in cui i delegati, Siagro compreso, fanno una rapida valutazione della nuova proposta. Ne approfitta il delegato ateniese, che a questo punto non solo è chiamato in causa, ma è punto nel vivo, e risponde precedendo il delegato spartano. Al contrario di Siagro il delegato ateniese risponde nello stesso modo cerimonioso di Gelone, ma sottilmente ironico per ridimensionare le mire del tiranno. Non sfugge, infatti, il duplice significato di «õ basileû Syrekosíon» dell’inizio del discorso (161, 1), che concede a Gelone la signoria di Siracusa, ma gli toglie quella della Sicilia concessagli a 157,2 «signore della Sicilia», titolo considerato adeguato, se pure problematico dal punto di vista giuridico e storico. Poi risponde quasi con un motto di spirito, arguto nella forma, ma durissimo nel contenuto, che dimostra come Gelone sia completamente fuori strada: «la Grecia ci ha mandato non perché abbia bisogno di un comandante, ma di un esercito. Tu invece preannunci che un esercito non lo manderai se tu non sei al comando della Grecia, della quale aspiri a divenire il capo supremo». Più severa e meno ironica era stata, almeno formalmente, secondo Diodoro XI 3,5, la risposta degli ambasciatori agli Argivi nell’incontro sopra ricordato, poiché senza mezzi termini chiesero «se ritenevano la strategia di un greco più intollerabile della tirannide di un barbaro». Il delegato ateniese continua, poi, argomentando che fin quando Gelone rivendicava il comando supremo non avevano ritenuto opportuno intervenire, «ben sapendo che l’inviato di Sparta sarebbe stato capace di prendere le difese di ambedue». Sulla richiesta di Gelone è poi perentorio: mai gli Ateniesi cederanno il comando della flotta (nauarchéein), neppure se il delegato spartano dovesse acconsentire alla richiesta, perché esso spetta ad Atene di diritto, nel caso in cui gli Spartani ci rinuncino. La posizione ateniese verrà ribadita da Erodoto a VIII 3, dove appare che essi, su richiesta dei Greci, sono disponibili a cedere il comando della flotta solo agli Spartani, già prima che si inviasse la delegazione a Siracusa. Le motivazioni ateniesi si fondano innanzi tutto e pragmaticamente sul fatto che Atene e non Gelone possiede la flotta più grande dei Greci; ma non solo. Il delegato ateniese, infatti, pone mano anche lui alla geopolitica e al mito, elemento fondante nella propaganda a sostegno dei diritti storici acquisiti. Se Siagro ha utilizzato il pelopide Agamennone, l’ateniese sfodera alcuni temi cari alla pubblicistica attica: l’autoctonia che "soli" gli Ateniesi vanterebbero e alcuni versi omerici. Non era vera l’una (a parte il fatto che gli Arcadi si sentivano più autoctoni degli Ateniesi) né autentici gli altri, ma erano temi di repertorio utili ed efficaci, almeno nei discorsi funebri. Con Omero l’ateniese, ritornando alla guerra di Troia, paradigma mitico delle guerre mediche, risponde indirettamente anche a Siagro. Dice, infatti, «e fu uno di noi che anche Omero, il poeta epico, disse che era venuto a Troia l’uomo più abile a schierare e ordinare un esercito» (161, 3). Il personaggio è l’ateniese Menesteo, ricordato in Il. II 552-554. Si tratta dell’unica attestazione di una presenza ateniese a Troia, ma è inserita nel cosiddetto Catalogo delle navi, libro molto sospetto dove, proprio per il suo carattere aperto di elenco non era troppo difficile introdurre versi e personaggi nuovi. Cosa che gli Ateniesi avevano fatto nella loro redazione dei poemi, legittimando una presenza che in effetti non c’era stata. Ma tant’è: l’autorità di Omero e le filologia ancora non nata permettevano queste forzature. La conclusione è che l’interlocutore si deve togliere dalla testa di comandare la flotta. Gelone, árchon, basiléus o tyrannos che sia, è messo all’angolo. Non gli rimangono che due strade: accettare di andare come alleato senza comando oppure rifiutare e negare la sua partecipazione. Non è una scelta facile. La risposta cortese e ironica nei riguardi del solo delegato ateniese salva la fama dei siculi, ritenuti maestri di battute fulminanti: «Ospite ateniese, sembra che voi abbiate i comandanti ma non gli uomini cui comandare. Ebbene, poiché volete tutto senza nulla concedere, affrettatevi a tornare indietro di qui, e ad annunciare alla Grecia che le è stata tolta la primavera dall’anno» (162, 1). Le parole di Gelone, qualunque cosa significhi la battuta finale, indicano che le trattative si sono definitivamente arenate. Il siracusano si tira indietro e avrebbe poi addotto a scusante l’impellenza della guerra cartaginese, culminata con una splendida vittoria. I Sicelioti non avrebbero combattuto in Grecia per la libertà delle poleis della madrepatria. Si sancivano così divisioni che non avrebbero mai consentito alla Grecia e all’Occidente greco di raggiungere alcun accordo politico panellenico, anche di fronte a pericoli gravissimi. Tuttavia in quel fatidico 480 a. C. la sorte delle armi arrise alla Lega antipersiana a Salamina e Platea e ai tiranni di Siracusa e di Agrigento a Imera. Ma di questo in altra occasione.
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