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L'attività sociale > 2020 - Divagazioni I
 
 


Divagazioni al tempo del Coronavirus

 
 
 

Enzo Papa*

 


Elogio dell'isolamento

 

      

      Per "distanziamento sociale" comunemente si intende la distanza (un metro, due metri?) che dobbiamo mantenere coi nostri simili in luoghi pubblici al fine di evitare il contagio da Covid-19. Ma, poiché le parole hanno un loro forte e prepotente significato, più propriamente di dovrebbe dire "distanziamento personale" o "distanziamento fisico", in quanto il concetto di "distanziamento sociale" è più opportunamente da assegnare all’isolamento dentro le nostre case, perché veramente in tal modo ci isoliamo dagli altri, dalla società, prendendone le distanze. Dunque, distanziamento sociale propriamente come isolamento.
   Il concetto di isolamento ha molteplici accezioni, si va dall’isolamento politico (l’inglese "splendid isolation", lo splendido isolamento inglese, la condizione isolazionistica d’Inghilterra del 1865) all’isolamento sanitario in appositi padiglioni ospedalieri, all’isolamento geografico con i cordoni sanitari, all’isolamento volontario per desiderio di ricerca spirituale, e così via.
    Il nostro "stare in casa"  (non "a" casa, che vuol dire "nei pressi", ma "in" che vuol dire "dentro") è la condizione di isolamento sociale in cui siamo costretti non per nostra libera scelta, non per nostro bisogno di concentrazione o per desiderio di spirituale solitudine, ma per cause esterne imposte dallo Stato al fine di tutelare la salute della collettività.
    Restare in casa dalla mattina alla sera, giorno dopo giorno, può essere sopportabile per chi ha i giusti spazi, ma faticoso e anche alienante per chi ha spazi assai ridotti, e non sono in pochi; più pesante ancora per chi ha anche bambini da accudire, con asili e scuole chiuse.
  E’ proprio qui la vera sofferenza, non è certamente quella che la televisione ci propina e ci propone con i collegamenti nelle case dei vip; ma a chi importa sapere come costoro passano la giornata, cosa cucinano, cosa mangiano, se fanno ginnastica libera o con attrezzi, e così via con le loro melense osservazioni? I vip ci raccontano del loro isolamento coatto e dorato, ci dicono cosa manca loro, ci presentano le loro caserecce pietanze come originali e conquistati trofei, si lamentano della reclusione come se un’improvvisa, inaspettata e salomonica sciabolata avesse tagliato in due la loro privilegiata esistenza. Mai ho ascoltato una seria riflessione, se non vaghi e ovvi accenni o superbe dichiarazioni di perfetta minchioneria, sull’opportunità che la costrizione domestica ci offre facendoci trasformare anche in aspetti positivi la negatività del distanziamento sociale. Solo da Papa Francesco ho ascoltato, come tanti, la convincente esortazione a saper cogliere quanto di positivo ci possa essere in una condizione come quella che stiamo vivendo.
  Insomma, c’è da chiedersi, invece, quale senso, quale significato possa avere la solitudine, su cui tanti scrittori, tanti filosofi hanno riempito pagine con i loro inchiostri.
   L’essere in solitudine, in verità, può essere una situazione privilegiata. Ce ne diede prova il Petrarca che nel "De vita solitaria", che è un vero trattato di elogio della solitudine, contrappose l’"infelix habitator urbium", cioè l’uomo che vive infelicemente nella caotica realtà della città, dove si perde la dimensione individuale e il vero senso della nostra esistenza, all’uomo che orgogliosamente vive nella solitudine, anche campestre, lontano dagli inganni e dal turbinìo della città, ma felice di quell’"otium" che gli consente la continua scoperta del vero senso della vita, attorniato da libri e da veri, pochi amici.
    Ed era stato Cicerone a dire, in una lettera a Varrone, che "si hortum in bibliotheca habes, nihil deerit", come a dire che gli spiriti forti sanno come nutrirsi e dove trovare il solo alimento del proprio animo e la propria umana libertà. Non parliamo, poi, di un certo Giacomo Leopardi o di tanti poeti e poetesse che dalla loro solitudine hanno saputo stillare filamenti di miele, ma neppure della vita solitaria degli asceti e degli anacoreti, che sono altro discorso.
   La dimensione di separatezza dal mondo esterno, dalle abitudini, dai compromessi, dalle ipocrisie,  certamente (e dolorosamente) anche dall’ amistà e dagli affetti, in questa sorta di dramma che stiamo vivendo chiusi nelle nostre case, ma finalmente in dialogo con noi stessi, non solo ci invita a mettere in discussione le nostre acquisite certezze, ma a rifondare il nostro "modus vivendi", a scoprire o a riscoprire i negletti valori della nostra "humanitas", spesso sopraffatta da una stupida "ferinitas". E’ come aver ricevuto una poderosa sberla sul ceffo bistrato della nostra presunzione, un forte evento traumatico e, come spesso accade in questi casi, si cambia il punto di vista sulla  realtà e sull’esistenza e si impara ad accettare e ad amare la solitudine, tessendone anche l’elogio.
   Certamente, non è così per tutti perché a molti fa paura: la paura dell’abbandono, la paura di star soli con se stessi, con l’incapacità di controllare le proprie emozioni.
  Ma grandi sono, tuttavia, i vantaggi dello star soli e in primis l’essere assolutamente padroni del proprio tempo, il non avere l’assillo di mille impegni, l’assoluta possibilità  di gestire a piacimento la propria libertà, l’impulso alla creatività. Star soli con se stessi non è sentirsi soli, perché in compagnia di se stessi non si è mai soli. Si è soli, piuttosto, quando inutilmente e scioccamente si sta tra gli altri come cornacchie da campanile assuefatte allo strepito delle campane.
  Sembrano cose ovvie, e tuttavia non vengono abbastanza praticate, forse anche perché la vertigine e l’affanno del tempo che viviamo e la quotidiana pressione del presente non ci consentono neppure una sosta, una pausa rigenerante e vivificante. Ma non si può aver paura dell’isolamento forzoso che siamo costretti a sopportare che invece, se saputo accettare, può essere una felice occasione di recupero e di consapevole rinascita di sé.


                                                                                                                                    * Enzo Papa

(Socio Onorario, già Presidente della Società Siracusana di Storia Patria)

 

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